«Ricordatemi come vi pare. Non ho mai pensato di mostrarmi diversa da come sono per compiacere qualcuno. Anche a quelli che mi odiano credo di essere stata utile, per autodefinirsi. Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai. Quando avevo vent’anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l’importante per me ora è non morire fascista».
Michela Murgia
![Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre. accabadora.jpg](https://www.bibliotechecivichepadova.it/sites/default/files/archivio/accabadora.jpg)
![S'innamorano di una sagoma di cartone o di un pretoriano in miniatura, odiano i bambini pur portandoseli in grembo, lasciano una donna ma ne restano imprigionati, vomitano amore e rabbia, si tagliano, tradiscono, si ammalano. Sono alcuni dei personaggi del nuovo, strabiliante libro di Michela Murgia, un romanzo fatto di storie che si incastrano e in cui i protagonisti stanno attraversando un cambiamento radicale che costringe ciascuno di loro a forme inedite di sopravvivenza emotiva. "Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita." A volte a stravolgerla è un lutto, una ferita, un licenziamento, una malattia, la perdita di una certezza o di un amore, ma è sempre un mutamento d'orizzonte delle tue speranze che non lascia scampo. Attraversare quella linea di crisi mostra che spesso la migliore risposta a un disastro che non controlli è un disastro che controlli, perché sei stato tu a generarlo. tre_ciotole.jpg](https://www.bibliotechecivichepadova.it/sites/default/files/archivio/tre_ciotole.jpg)
![Si può essere persone femministe e cattoliche nello stesso tempo? Michela Murgia, cattolica, pensa di sí. E questo audace pamphlet, colto e popolare, sfida il senso comune, e con lucidità e ironia ci spiega perché. «Vorrei capire, da femminista, se la fede cristiana sia davvero in contraddizione con il nostro desiderio di un mondo inclusivo e non patriarcale, o se invece non si possa mostrare addirittura un'alleata. Da cristiana confido nel fatto che anche la fede abbia bisogno della prospettiva femminista e queer, perché la rivelazione non sarà compiuta fino a quando a ogni singola persona non sarà offerta la possibilità di sentirsi addosso lo sguardo generativo di Dio mentre dichiara che quello che vede "è cosa buona"». Come fai a tenere insieme la tua fede cattolica e il tuo femminismo? È una domanda che Michela Murgia si sente rivolgere di continuo. È la stessa che si pongono le persone credenti LGBTIAQ+ e che si pone chiunque debba fare compromessi tra la propria coscienza e i precetti dottrinari, per esempio in merito ad aborto, eutanasia, fecondazione assistita. Per rispondere è necessario capire quali aspetti della vita e della fede siano davvero in contraddizione, e soprattutto se certi insegnamenti non siano semplicemente un'eredità storica da ridiscutere ogni giorno alla luce del Vangelo e della propria intelligenza. D'altronde, lo stesso Dio dei cristiani è contraddittorio: è divino ma anche umano, è uno ma anche trino, è onnipotente ma è morto in croce. Partendo dalla rilettura del "Credo" e attingendo alla propria esperienza personale - la sé bambina piena di dubbi, ma anche la nonna, la madre, la zia, le donne con le quali ha incontrato la fede - Michela Murgia fornisce gli strumenti per affrontare alcune di queste antinomie, e mostra come la pratica della soglia, che rigetta l'appartenenza a un unico recinto, cioè la queerness, sia una pratica cristologica. Accettarla come tale significa riconoscere che «il confine non ci circonda, ma ci attraversa, e che quel che avvertiamo come contraddizione è in realtà uno spazio fecondo di cui non abbiamo ancora compreso il potenziale vitale» god_save_the_queer.jpg](https://www.bibliotechecivichepadova.it/sites/default/files/archivio/god_save_the_queer.jpg)
![La chiesa è ancora oggi, in Italia, il fattore decisivo nella costruzione dell'immagine della donna. Partendo sempre da casi concreti, citando parabole del Vangelo e pubblicità televisive, icone sacre e icone fashion, encicliche e titoli di giornali femminili, questo libro dimostra che la formazione cattolica di base continua a legittimare la gerarchia tra i sessi, anche in ambiti apparentemente distanti dalla matrice religiosa. Anche tra chi credente non è. Con la consapevolezza delle antiche ferite femminili e la competenza della persona di fede, ma senza mai pretendere di dare facili risposte, Michela Murgia riesce nell'impresa di svelare la trama invisibile che ci lega, credenti e non credenti, nella stessa mistificazione dei rapporti tra uomo e donna. ave_mary.jpg](https://www.bibliotechecivichepadova.it/sites/default/files/archivio/ave_mary.jpg)
Non è semplice scrivere un omaggio per Michela Murgia (Cabras, 1972- Roma, 2023), e non per mancanza di argomenti, ma perché lascia noi, i suoi lettori, troppo presto. Sarda di nascita, romana di adozione, con una formazione cattolica e una laurea in Scienze religiose, Michela Murgia ha rappresentato nel panorama culturale contemporaneo una voce forte, intelligente, indomabile e per questo tante volte anche scomoda.
Il suo esordio con Il mondo deve sapere fu subito un atto politico, in quanto la pubblicazione nasceva da un blog in cui Murgia denunciava lo sfruttamento del lavoro in un call center del quale era dipendente. Il libro venne portato anche al cinema da Virzì con il film Tutta la vita davanti. Polivalente come era il suo genio, la seconda opera è di natura saggistica e dedicata alla terra d’origine, Viaggio in Sardegna. Ma è nel 2009, con Accabadora, che Murgia si fa conoscere al grande pubblico. Il romanzo, tradotto in molte lingue, vince il Premio Dessì, il Mondello e il Campiello. Con Ave Mary inizia il percorso della scrittrice dedicato alle donne, alla relazione tra il femminile e la religione, la società, il patriarcato. Discorso che verrà portato avanti sempre con più forza con il passare del tempo. Dopo le due opere narrative L’incontro e Chirù, Michela Murgia approda quasi definitivamente alla saggistica o al pamphlet. Ricordiamo: L'ho uccisa perché l'amavo: falso!, scritto con Loredana Lipperini, L'inferno è una buona memoria, ispirato al romanzo Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley, Noi siamo tempesta, Istruzioni per diventare fascisti, Morgana, storie di ragazze che tua madre non approverebbe, Morgana, L'uomo ricco sono io, questi ultimi scritti e portati in teatro con Chiara Tagliaferri, Stai Zitta, e altre nove frasi che non vogliamo sentire più, God Save the Queer, Catechismo femminista.
Murgia torna alla narrativa con la sua ultima opera, Tre ciotole, una raccolta di racconti il cui incipit tratta, in maniera dichiaratamente autobiografica, della vita dopo la comunicazione di una diagnosi oncologica senza scampo. La scrittirce, come ultimo atto politico, ha scelto di rendere pubblica la propria fine, annunciandola, mostrando le immagini del proprio matrimonio queer, portando avanti fino all’ultimo giorno un concetto di famiglia che metta al centro le relazioni e non i legami di sangue, e non smettendo di denunciare le ingiustizie a favore di una umanità aperta e rispettosa di ogni scelta.