Ambientato negli anni Cinquanta in un collegio femminile nel distretto svizzero di Appenzell, I beati anni del castigo è l’opera più nota della scrittrice italo svizzera Fleur Jaeggy.
La voce narrante, alter ego dell’autrice, racconta gli anni della propria educazione tra un collegio e l’altro, sotto il rigido controllo epistolare della madre che detta legge dal lontano Brasile. È per volontà della genitrice, per esempio, che la protagonista debba avere come compagna di stanza una ragazzina di madrelingua tedesca, anche se questo le comporta di rimanere confinata nel dormitorio delle allieve più piccole. La giovane germanica è oggetto di alcune fantasie della protagonista circa la vita della compagna all’epoca del nazismo. Sono questi brevi accenni che definiscono la complessità del mondo e della storia al di fuori della bolla dell’istituto.
L’esile trama subisce una svolta quando entra nel collegio la bella Fréderique e la protagonista vivrà una vera e propria infatuazione, un quasi innamoramento, né dichiarato né consumato, ma narrato con una impalpabilità che è insieme sensuale e metafisica. Il fascino di questo romanzo risiede principalmente nella scrittura che si muove in superficie, lasciando che il lettore ricerchi e indovini la profondità celata nei raffinati dettagli. La voce narrante è evocativa, lascia intuire ma mai spiega, rivelando i conflitti latenti che inquietano le ordinate signorine del collegio. Un distillato di sentimenti tumultuosi dentro a un binario di ordine e compostezza.
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Siamo a Edimburgo, negli anni trenta del Ventesimo secolo. La quarantenne Jean Brodie, insegnante alla scuola Marcia Blaine, si distingue dalle colleghe per metodi didattici considerati non ortodossi, suscitando i sospetti non solo degli altri insegnanti, ma anche della direttrice Miss Mackay. Nonostante Miss Brodie venga indirizzata più volte verso la rassegna delle proprie dimissioni, in virtù dei sui metodi più adatti a una scuola progressista, ella resiste.
Il suo atteggiamento anticonformista affascina un ristretto gruppo di allieve, alle quali Miss Brodie promette di continuo che diventeranno la crème de la crème: Rose Stanley, Mary Macgregor, Sandy Stranger, Jenny Gray, Eunice Gardiner, Monica Douglas. È Sandy, forse la studentessa più acuta, a filtrare la narrazione e a rendere al lettore le diverse facce di Miss Brodie. Mascherata da modernità, la docente nasconde una vena di moralismo, come se il suo scopo fosse quello di formare le ragazze nel loro ruolo di donne, più che come persone. Le ombre che avvolgono Miss Brodie emergono a mano a mano che il racconto procede. L’accanimento verso l’alunna più fragile, Rose, le simpatie per Mussolini e per il regime di Franco in Spagna, l’ascesa e il lento declino della docente, fino all’inaspettata fine. Le parabole delle vite di ogni ragazza sono raccontate in flashforward. La grandezza di questo breve romanzo è tutta lì: nella costruzione di una protagonista che è insieme il bene e il male, ovvero il male travestito da bene, in un continuo andare e venire nel tempo, attraverso un uso magistrale delle prolessi, rivelatrici del futuro e generatrici di tensione narrativa.
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