Fausto e Anna, Carlo Cassola
Fausto e Anna è un romanzo di Carlo Cassola scritto nel 1949 e pubblicato da Einaudi nel 1952, ripubblicato nel 1958 con le modifiche e i tagli apportati dall'autore. Il romanzo è ambientato nell'Italia degli anni Quaranta e l'ispirazione è autobiografica. Esso si suddivide in due parti.
Nella prima parte, e fino ai primi due capitoli della seconda, i due protagonisti sono compresenti. Anna conosce Fausto e si innamora ricambiata, ma il rapporto tra i due è fin dall'inizio molto difficile e va verso la rottura.
Una volta che i due ragazzi si sono separati, la narrazione prosegue alternando alcune parti concentrate su Anna e altre che invece seguono la vita di Fausto.
Fausto Errera e Anna Mannoni vivono a Volterra, entrambi figli di professionisti. Il padre di Fausto è un avvocato integrato nel regime fascista, mentre la famiglia di Anna, appartiene al ceto dei piccoli funzionari che vengono spesso trasferiti nelle piccole città di provincia. I due giovani si conoscono e si innamorano nel 1935 quando Mussolini inizia la guerra in Etiopia. Fausto è un ragazzo tormentato e pieno di complessi, ora entusiasta e ora spento, talvolta protagonista di atteggiamenti spregiudicati. Anna subisce il fascino di Fausto, ma lei ha una natura semplice e non trova serenità e certezza in quell'amore che le dona pochi momenti felici.
Segue un periodo di separazione durante i mesi dell'autunno e dell'inverno, i due ragazzi si scrivono, ma le lettere di Fausto sono sempre più rabbiose e cariche di gelosia.
In seguito a un trasferimento a Grosseto Anna sposerà Miro, un ragazzo tranquillo, con il quale avrà una bambina.
Intanto, Fausto si mette in contatto con gli antifascisti del luogo ed entra a far parte di una formazione partigiana che opera sul Monte Voltrajo. Ritornato a San Ginesio, dove Fausto si reca per portare un compagno ferito, incontra Anna sfollata a causa della guerra e in quell’occasione i due scoprono di amarsi ancora. Avranno ancora un futuro?
Il romanzo di Cassola raccolse all’inizio aspre critiche per la presenza di alcune considerazioni morali di Fausto circa alcuni metodi cruenti usati dai partigiani, dettati maggiormente da spirito di vendetta rispetto all’ideale politico ed etico. Ma trascorso quel periodo fortemente politicizzato dell’immediato dopoguerra, il romanzo fu riaccolto dalla critica, come un classico sulla Resistenza e sull’essere ragazzi in quegli anni storicamente così complessi.
Approfondimento: Raicultura
Un amore partigiano, Iole Mancini e Concetto Vecchio
Iole Mancini, 102 anni, resta una degli ultimi esempi di testimonianza viva della memoria partigiana. Con Un amore partigiano ha raccontato la sua storia di Staffetta Partigiana insieme a quella del gappista Ernesto Borghesi, suo marito. Si tratta quindi di un viaggio tra i ricordi autobiografici della Mancini: per lei un viaggio doloroso, per i lettori, invece, necessario. Nel libro, Iole Mancini racconta in che modo abbia conosciuto Ernesto nel 1937, sulla spiaggia, come banalmente accade tra ragazzi. Narra inoltre della loro vita prima della Seconda Guerra Mondiale, ma soprattutto di ciò che è avvenuto dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, e con l’occupazione dei nazisti a Roma. Il racconto-memoir ripercorre il percorso di Iole ed Ernesto nel loro ingresso nel mondo dei G.A.P., che lei definisce come “un gruppo di giovani che si ribellarono alle imposizioni dei nazifascisti a seguito della vigliacca fuga del re”. Anche se i ricordi si rifanno a ormai molti anni fa, la narrazione procede come se l’autrice ripescasse memorie recenti, per quanto risultano vivide e forti. Iole racconta del suo compito di Staffetta, dei compagni della Resistenza, della paura di essere scoperti dalle forze occupanti – o dalle spie fasciste, – e lo fa con tutti i dettagli tipici della memoria viva, così efficace rispetto a delle semplici pagine di storia in un manuale. Iole ammette di aver avuto paura molte volte sia per il marito che per sé stessa – soprattutto quando fu portata a Via Tasso per essere interrogata, – ma ribadisce la propria fermezza nel non mostrare la sua fragilità. “Non dovevo avere paura”, dice. Quella di Iole Mancini è anche la storia di un destino a suo modo benevolo, visto che nonostante la drammaticità dei giorni passati sia lei che Ernesto si sono salvati e hanno potuto vivere la loro vita, non priva di conseguenze a causa dei traumi subiti da Ernesto a causa delle torture durante la detenzione. Questa è una storia che si è svolta nelle retrovie, meno nota di quelle di molti suoi compagni più in vista nei G.A.P., ma ciò non toglie, e semmai aggiunge, valore alla testimonianza, che ha il pregio di essere, oltre che un racconto storico, una parabola umana di raro amore e fedeltà.
Approfondimento: Iole Mancini, partigiana, sulla guerra