![fimmine_ribelli_cop.jpg](https://www.bibliotechecivichepadova.it/sites/default/files/archivio/fimmine_ribelli_cop.jpg)
Fimmine ribelli di Lirio Abbate narra il mondo della ‘ndrangheta calabrese. Abbate ci mostra come le “fimmine” (le donne) siano in realtà l’elemento fondamentale di un sistema che apparentemente sembra non includerle.
Le Fimmine Ribelli che Abbate racconta sono le figlie, le madri, le nonne e le mogli degli uomini della ‘ndrangheta. Sono “cose” che appartengono alla cosca, che le protegge e le addomestica.
Ogni clan punta al controllo delle proprie donne e perdere la complicità di una di loro significa perdere il potere patriarcale esercitato sulle femmine della “famiglia”. Ciò è considerato un disonore e un grande rischio, perché la donna che si ribella e decide di rivolgersi a polizia o magistrati diventa una minaccia per tutto il clan.
L’accesso alle informazioni in rete, sui social, e attraverso a tutti i mezzi contemporanei di informazione, dà modo alle donne di non essere più chiuse e relegate mentalmente dentro al clan familiare.
Oggi, una donna cresciuta tra le file della ‘ndrina calabrese, che non abbia mai avuto il diritto di scegliere, di vivere liberamente la propria vita, costretta a restare tra i familiari o con chi è stato per lei scelto da questi, può confrontarsi all’improvviso con il mondo intero, attraverso le migliaia di informazioni che girano sul web.
Questa evoluzione, insieme al percorso di emancipazione generale che le donne hanno fatto, porta alla sempre più difficile accettazione del destino che la “famiglia” impone alle fimmine, ma le scelte autonome non vengono tollerate in quanto, come dice una testimone, “la donna che disonora o tradisce la famiglia deve essere punita con la morte”. Tra le diverse testimonianze e i casi emblematici Lirio Abbate ci presenta una serie di “finti suicidi” attraverso i quali sono state assassinate diverse donne, ree soltanto di volersi affrancare dai tentacoli del malaffare entro cui sono nate.
L’unica salvezza che rimane per le Fimmine Ribelli è affidarsi alle forze dell’ordine e diventare collaboratrici di giustizia. In questo modo, le donne della ‘ndrangheta riescono a evitare la morte certa che le attenderebbe nel clan, vengono poste sotto tutela e danno agli inquirenti un prezioso aiuto per ricostruire la fitta ragnatela della cosca.
Questa è la storia di molte donne di Rosarno, un luogo dove vigono ancora, nel silenzio generale, terribili «leggi arcaiche e retrive», come il delitto d’onore. Che punisce con una sentenza di morte, spesso eseguita per mano di un fratello o di un parente, una donna che tradisce o si innamora di un altro.
Alcune donne, ci spiega Abbate, riescono a «modellarsi sul codice, a coincidere con la parte assegnate», altre subiscono «a testa china e labbra strette, perché è così che è stato loro insegnato e perché ormai hanno perso la forza anche solo di sognare un futuro diverso». Ma ce ne sono tante, come Rosa Ferraro e Giusy Pesce, che «decidono di stracciare il copione e provare a costruirsi una vita che sia davvero la loro». Sono queste le donne che la ‘ndrangheta teme, le donne che desiderano essere libere, o liberare i propri figli da un destino di crimine e illegalità, sono loro che rischiano di sgretolare dal di dentro il tessuto fitto delle organizzazioni criminali. Dopo l’affrancamento, inizia per le fimmine ribelli un destino di paura, strette tra il terrore di subire violenze e il timore di perdere i propri figli. Spesso devono sparire lontano per non subire la pressione dei familiari e i ricatti.
Aver tradito il marito può costare la vita, come ad Angela Costantino, persino se la donna è vedova, come è accaduto invece a Maria Teresa Gallucci. Altre pagano con l’assassinio del nuovo compagno, come Simona Napoli. Altre ancora si uccidono per l’esasperazione e il senso di impotenza, come Maria Concetta Cacciola o Tita Buttafusca. Ma anche quando l’esito della scelta di ribellione si rivela drammatico, esso lascia una frattura manifesta nel sistema. Un esempio per i figli e le figlie, un passo avanti verso il cambiamento.
Nella giornata Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie (21 marzo) è giusto ricordare anche loro: le molte donne che con coraggio hanno lottato e non sempre, purtroppo, hanno vinto.
Altri libri sul tema donne e mafia:
![Il libro racconta il tumulto all'interno di Cosa Nostra che le donne hanno provocato, subìto. Muovendosi fra silenzi, esplosioni di dolore e di ira, propositi buoni o insensati, ripensamenti, vendette. Donne che incoraggiano i loro uomini a uscire dal circuito mafioso in cui sono cresciuti e magari hanno avuto successo. Li aiutano, gli dischiudono le potenzialità di una vita nuova, libera, sono al loro fianco nei rifugi all'estero o in Italia, sotto un altro nome, in luoghi continuamente diversi che il loro stato di collaboratori di giustizia gli garantisce. E donne che non condividono un percorso simile, si schierano clamorosamente contro i mariti o si chiudono in casa per godere almeno della rete di solidarietà della cosca. Le più giovani diverse da quelle anziane. Quelle che si pentono. Quelle che piantano il marito. Quelle che si suicidano. Quelle che tutto vedono e sanno ma non parlano né vengono consultate dai loro uomini, e quelle che - come ha detto Giovanni Falcone - «decise e sicure di sé, sono entrate in rotta di collisione con il mondo chiuso, oscuro, tragico, ripiegato su se stesso e sempre sul chi vive di Cosa Nostra» si raccontano e si alternano in questo libro. donne_di_mafia.jpg](https://www.bibliotechecivichepadova.it/sites/default/files/archivio/donne_di_mafia.jpg)
![Studiando tre generazioni di donne calabresi le propone non come “oggetto di studio”, ma come “soggetti tacitati”. Le anziane raccontano «la soggettività di una donna con corpo sessuato che genera figli», da cui emerge «un dato di grande sottomissione a ritmi di sessualità altrui», sofferenza e solitudine. Siebert descrive il cambiamento del sud grazie al coraggio delle donne, ma anche una società rigidamente costruita sulla separazione tra una sfera privata caratterizzata dal sacrificio dell’individualità femminile, e una sfera pubblica distrutta dal familismo amorale. le_donne_la_mafia.jpg](https://www.bibliotechecivichepadova.it/sites/default/files/archivio/le_donne_la_mafia.jpg)
![Io posso e tu no perché io sono lo Stato e tu no“Immaginate di tornare un giorno a casa vostra e di trovare un costruttore legato alla mafia lì davanti. Immaginate che vi dica che quella non è casa vostra, ma sua. E che, qualche anno dopo, ve la danneggi gravemente per costruirci accanto un palazzo più grande. E immaginate di dover aspettare trent’anni prima che un tribunale italiano vi dia ragione. Immaginate che, dopo tutto questo tempo, vi riconoscano un compenso per i danni, che però nessuno vi pagherà mai dato che il costruttore nel frattempo è stato condannato perché legato alla mafia e lo Stato gli ha sequestrato tutto. E ancora, immaginate che di quella somma, che non riceverete mai, l’Agenzia delle entrate vi chieda il 3 per cento. Questo è quello che, più o meno, è successo a Maria Rosa e Savina Pilliu. E diciamo ‘più o meno’, perché in trent’anni, in realtà, è successo questo e molto altro. Intorno al palazzo abusivo si aggireranno vari personaggi: mafiosi eccellenti, assessori corrotti, killer latitanti, avvocati illustri, istituzioni pavide, vittime di lupare bianche, anonimi intimidatori e banchieri generosi. E poi ci mettiamo anche noi due che, venuti a conoscenza della vicenda, abbiamo deciso di scrivere questo libro. La nostra intenzione è cambiare il finale di questa storia, con l’aiuto di tutti. Raggiungendo tre obiettivi. Il primo: attraverso la vendita di questo libro raccogliere la cifra necessaria per pagare quel famoso 3 per cento dell’Agenzia delle entrate. Il secondo: far avere lo status di ‘vittime di mafia’ alle sorelle Pilliu. Il terzo: ristrutturare le palazzine semidistrutte e concederne l’uso a un’associazione antimafia. ‘Io posso’ è una sorta di mantra a Palermo. Non importa cosa dice la regola, perché tanto ‘Io posso’. Le regole valgono solo per gli stupidi. ‘Io posso’ sottintende sempre: ‘E tu no’. Ecco, a noi piace molto questa frase. La gridiamo a gran voce ma con un senso opposto. Io posso e tu no perché io sono lo Stato e tu no.” io_posso.jpg](https://www.bibliotechecivichepadova.it/sites/default/files/archivio/io_posso.jpg)
![Alba del Corpus Domini 2011, statale Ionica, Locride. Davanti alla farmacia di Maria Carmela Lanzetta bruciata da un incendio appiccato da quattro picciotti delle cosche, si mettono in fila le donne di Monasterace, con strofinacci, acqua e detersivo: per salvarle il salvabile, ripulire ciò che resta della bottega di questa farmacista che s'è fatta sindaca e ha sfidato crimine e corruzione con la semplicità e il buonsenso d'una madre. "Come vi potrò ripagare?", chiede lei. "Già ci avete ripagato", rispondono loro. Il libro è la cronaca d'un faticoso viaggio nella primavera delle donne calabresi, dentro la ribellione delle "pentite" di 'ndrangheta e il coraggio di molte madri e figlie, spose e sorelle di dire infine "no", giorno per giorno, alle regole arcaiche d'un universo omertoso e misogino. Una cronaca raccontata attraverso gli occhi e la storia di Maria Carmela Lanzetta, sindaca di Monasterace, che ha subito due attentati mafiosi per il solo azzardo di avere riportato legalità e normalità nel piccolo comune del reggino che governa dal 2006. La vicenda di questa tenace amministratrice calabrese s'intreccia con quella di altre donne come lei... italia_quaggiu.jpg](https://www.bibliotechecivichepadova.it/sites/default/files/archivio/italia_quaggiu.jpg)
Film
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Approfondimento: Donne e mafia su
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