Nel 1961 il narratologo americano Wayne C. Booth ha introdotto per primo con concetto di narratore inattendibile e codificato la distinzione tra attendibilità e inattendibilità di una voce narrante all’interno di un’opera di finzione.
Il narratore, che è colui che in un racconto ci parla e ci presenta i fatti, può essere un filtro onesto o un affascinante imbroglione. Una narrazione è quindi inattendibile quando il discorso intorno all’accaduto tradisce la storia e noi lettori avvertiamo una discrepanza tra come sono andate le cose e la ricostruzione che ci viene proposta. Un esempio molto noto è il caso di Humbert nel romanzo Lolita di Vladimir Nabokov. Seppure anche il lettore più sprovveduto capisca che siamo davanti a un caso abbastanza riprovevole di efebofilia, l’abilità retorica di Humbert nel presentarsi come vittima del fascino della giovane Dolores, i continui appelli alla corte immaginaria (sappiamo dall’inizio che Humbert è in carcere e aspetta un processo), la forma di aperta confessione, la mistificazione della realtà, fanno sì che il lettore finisca per aderire alla versione disonesta di chi sta raccontando. In fondo, il povero Humbert non fa che vedere in Lolita l’incarnazione del suo tragico primo amore, quando era ragazzino sulla Costa Azzurra, cioè la bella Annabel morta anzitempo.
Va detto che anche se il concetto di narratore inattendibile viene definito negli anni Sessanta, il primo imbroglione che incontriamo nella letteratura è Luciano in Storia Vera (170 d. C. circa). La voce narrante in Storia vera è del genere bugiardo dichiarato, infatti nell’incipit il lettore viene subito avvisato che tutto quello che verrà dopo è falso, un viaggio immaginario sulla Luna durante il quale accadono cose inverosimili, a dispetto di quello che il titolo suggerirebbe. Storia vera voleva essere una versione parodistica della famosissima Odissea di Omero.
Oltre al bugiardo dichiarato, abbiamo altre tipologie di voce inattendibile. I fatti possono essere messi in bocca a un protagonista che non risulta credibile perché la sua percezione è limitata, per esempio il Bloom de l’Ulisse di Joyce, che non è un bugiardo, ma la sua è una visione parziale, insufficiente a comprendere la complessità della storia, come potrebbe fare un narratore onnisciente. Oppure, per avvicinarci ai giorni nostri, la voce di Christopher John Francis Boone ne Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, dove il limite-filtro del racconto sono l’età del personaggio e il fatto che abbia una percezione della realtà da Asperger.
Il narratore di un romanzo può ingannarci anche perché è troppo coinvolto nelle vicende, come dire: ha le mani in pasta. Abbiamo già visto il caso di Humbert, ma potremmo anche citare, tra questa tipologia di ingannatori letterari, il dottor Cleave del romanzo Follia di McGrath. Il suo racconto inizia in maniera molto credibile, infatti egli è uno psichiatra che presenta un caso clinico a lui personalmente occorso. Se non fosse che, quando il lettore arriva a tre quarti del romanzo, inizia a nutrire dei forti sospetti riguardo alla versione che sta leggendo, perché solo a quel punto si capisce che Stella non è per il dottor Cleave una paziente qualsiasi.
Per spostarci dall’ambito anglofono alla letteratura italiana, di narratori inattendibili ne abbiamo parecchi. Dallo Zeno Cosini di Italo Svevo (La coscienza di Zeno), dove il filtro della coscienza e della nevrosi del protagonista è dichiarata già nel titolo, a Il fu Mattia Pascal, dove l’inattendibilità del racconto è intrinseca alla struttura del romanzo: cosa può esserci di vero se la stessa identità di chi ci sta narrando la storia è messa in discussione? Un caso di narratore ingannevole, meno famoso ma non meno interessante, nella letteratura italiana del Novecento, è nel troppo poco letto Memoriale di Paolo Volponi. Albino Saluggia, il protagonista, è un operaio che denuncia una situazione problematica all’interno della sua fabbrica. E mentre all’inizio aderiamo alle ragioni verosimili della sua denuncia, nel proseguire la lettura, i tratti paranoidi di Albino pian piano emergono, ribaltandoci in una confusione riguardo alla veridicità degli avvenimenti.
A rigore di logica le riflessioni relative al narratore inattendibile in letteratura hanno portato alla corretta conclusione che ogni volta in cui venga messo in campo un punto di vista specifico, che non sia il narratore onnisciente, abbiamo una certa quota di inattendibilità legata alla prospettiva soggettiva da cui la storia viene raccontata.
Se questo argomento vi affascina, proponiamo di seguito una bibliografia più suggestiva che esaustiva.
Qualcuno volò sul nido del cuculo (Ken Kesey)
Quel che resta del giorno (Kazuo Ishiguro)
Non lasciarmi (Kazuo Ishiguro)
L’assassinio di Roger Ackroyd (Agatha Christie)
La vita e le opinioni di Tristram Shandy (Laurence Sterne)
Forrest Gump (Wiston Groom)
Il buon soldato (Ford Madox Ford)
Abbiamo sempre vissuto nel castello (Shirley Jackson)
Il giovane Holden (J. D. Salinger)
La vera storia del pirata Long John Silver (Björn Larsson)