«Partì verso le somme colline, la terra ancestrale che l’avrebbe aiutato nel suo immoto possibile, nel vortice del vento nero, sentendo com’è grande un uomo quando è nella sua normale dimensione umana. E nel momento in cui partì, si sentì investito – itself would have been divestitur – in nome dell’autentico popolo d’Italia, ad opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare, a decidere militarmente e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma infinitamente più inebriante la coscienza dell’uso legittimo che ne avrebbe fatto. Ed anche fisicamente non era mai stato così uomo, piegava il vento e la terra.»
Beppe Fenoglio nasce ad Alba il primo marzo 1922, da Amilcare e Margherita Faccenda.
Lì frequenta il ginnasio, dove l’insegnante Maria Lucia Marchiaro lo avvierà allo studio dell’inglese e della civiltà anglosassone.
In estate trascorre le vacanze a San Benedetto Belbo e Murazzano, luoghi che gli insegnano ad amare il territorio delle Langhe, così importante nella sua poetica. Il ritmo tragico delle vicende narrate dallo scrittore, infatti, è sovente scandito dai suoni o dalle immagini degli elementi della natura, che si animano dei sentimenti del racconto, proiettano ombre di angoscia o segni di attesa. Ciò permette ai paesaggi fenogliani di non essere semplici sfondi, ma autentici protagonisti, cassa di risonanza delle vicende interiori dei personaggi. Come, per esempio, La pioggia sulle Langhe, all’inizio de La malora, esprime il dolore che Agostino vive come una nuova condanna. «Pioveva su tutte le Langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra.»
Al Liceo di Alba, Fenoglio ha due insegnanti, che sono per lui un grande riferimento di cultura e di vita: Pietro Chiodi, professore di filosofia, e Leonardo Cocito, antifascista, docente di italiano. Nonostante il suo essere laico, lo scrittore stringe una profonda amicizia, destinata a durare nel tempo, con il teologo e filosofo don Natale Bussi.
Nel romanzo Una questione privata, Fenoglio descrive sé stesso, attraverso il suo alter ego letterario, Milton.
«Milton era brutto: alto, scarno, curvo di spalle. Aveva la pelle spessa e pallidissima, ma capace di infoscarsi al minimo cambiamento di luce o di umore. A ventidue anni, già aveva ai lati della bocca due forti pieghe amare, e la fronte profondamente incisa per l’abitudine di stare quasi di continuo aggrottato. I capelli erano castani… All’attivo aveva solamente gli occhi, tristi e ironici, duri e ansiosi, che la ragazza meno favorevole avrebbe giudicato più che notevoli. Aveva gambe lunghe e magre, cavalline, che gli consentivano un passo esteso, rapido e composto.»
Terminato il Liceo, Fenoglio si iscrive alla facoltà di Lettere di Torino; ma interrompe gli studi nel 1943 per frequentare il corso per ufficiali, dapprima a Ceva e successivamente a Roma.
L’8 settembre del 1943 l’esercito si dissolve e Fenoglio rientra in famiglia. Intraprende la guerriglia partigiana sulle Langhe, come già avevano fatto i suoi illustri professori del Liceo, Cocito e Chiodi.
Nel gennaio 1944, si unisce a una brigata di orientamento comunista, comandata dal tenente Rossi, “il Biondo”, e partecipa al combattimento di Carrù, ma proprio lì la formazione in cui milita subisce una pesante sconfitta dai nazifascisti, è il 3 marzo 1944. Per sfuggire ai rastrellamenti, Fenoglio ritorna ad Alba presso i suoi genitori. A settembre riprende la strada delle colline con le formazioni autonome gli azzurri badogliani, presso il presidio di Mango.
Il 10 ottobre 1944 è con le forze che liberano Alba, che viene difesa fino al 2 novembre, vicenda che confluirà nel romanzo I ventitré giorni della città di Alba.
In un momento in cui la formazione partigiana si disperde, Fenoglio trascorre un lungo e complicato inverno in isolamento presso la Cascina della Langa. Nell’ultimo periodo della sua azione militante diventa ufficiale di collegamento presso la missione inglese, che opera nel Monferrato, nel Vercellese e nella Lomellina. Alla fine di aprile, le truppe tedesche del fronte italiano si arrendono. Dopo la Liberazione, Fenoglio ritorna alla vita civile. L’esperienza partigiana rimarrà un bagaglio fondamentale della sua vita e ispirazione di molti dei suoi romanzi e racconti. In seguito, per vivere, Fenoglio lavora per una società vinicola, e poi traduce, scrive sempre, riempie carte e cassetti. Il suo è un lavoro non molto impegnativo, che gli lascia tempo per scrivere, a volte anche durante l'orario d'ufficio. Lo scrittore non lascerà mai quell'azienda, nella quale viene stimato e amato da colleghi e amici per la sua schiettezza umana e lo scrupolo con cui svolge il suo compito.
Nel 1959 firma un contratto quinquennale con la casa editrice Garzanti e nel 1961 la sua raccolta di racconti Un giorno di fuoco diviene oggetto di una controversia tra Garzanti ed Einaudi, che se ne contendono i diritti. Nella vita privata, sposa civilmente Luciana Bombardi, dalla quale nascerà la figlia Margherita, mentre le condizioni sue fisiche diventano precarie a causa di un’asma bronchiale, peggiorata dal fumo.
In campo letterario, Fenoglio comincia a ottenere i primi riconoscimenti dalla critica: nel 1960 vince il premio Prato con Primavera di bellezza e nel giugno del 1962 riceve il premio Alpi Apuane, per il racconto Ma il mio amore è Paco, pubblicato su Paragone.
La malattia polmonare, tuttavia, si aggrava in breve tempo, così Fenoglio viene ricoverato all’ospedale Molinette di Torino: la diagnosi dei medici non lascia molte speranze.
Beppe Fenoglio muore la notte tra il 17 ed il 18 febbraio 1963.
A fine aprile del 1963, Garzanti pubblica Un giorno di fuoco, che comprende sei racconti già selezionati dall’autore stesso, sei ritrovati da Lorenzo Mondo e il romanzo Una questione privata.
Considerato uno dei più importanti autori del Novecento letterario italiano, Fenoglio fu definito da Italo Calvino come il più grande narratore della Resistenza italiana, quella vera, fatta sul campo in prima persona. La sua fortuna letteraria, tuttavia, è stata totalmente postuma.
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