I classici italiani

 

Fausta Cialente
Sandro De Feo 
Giuseppe Tomasi di Lampedusa 
Elio Vittorini 
Remigio Zena

Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Giuseppe Tomasi di Lampedusa fu uno scrittore, nato a Palermo il 23 dicembre 1896, morto a Roma il 23 luglio 1957; partecipò alla guerra del 1915-18 come ufficiale d'artiglieria, dopodiché si ritirò a vita privata, assecondando la sua avversione per il fascismo, viaggiando e vivendo per lunghi periodi all'estero. Essendo un buon conoscitore di varie lingue e letterature compose alcuni saggi sulla letteratura francese degli ultimi secoli e qualche racconto e prosa di memoria, che non diede però alle stampe; e, inedito, lasciò anche un romanzo, Il Gattopardo - che lo porterà poi alla fama internazionale - scritto poco prima di morire e che fu pubblicato postumo a cura di Giorgio Bassani nel 1958, divenendo uno dei più singolari casi letterari degli ultimi decenni.
Il romanzo è ambientato in Sicilia all'epoca dello sbarco dei Mille e del trapasso di regime e si concentra sulla figura del principe Fabrizio Salina, un aristocratico illuminato, figura che ha, in parte, rievocato quella del bisnonno paterno, ma in cui, soprattutto, egli ha rivisto sé stesso, nella sua più segreta intimità. Il Gattopardo, dunque, non è un romanzo storico, ma una confessione autobiografica trasposta in forme storiche, un'amara visione della realtà politica e sociale della Sicilia e della vita contemporanea, proiettata in un passato vagheggiato come un tempo perduto e insieme giudicato e ironizzato con caustico distacco. Il suo profondo motivo ispiratore non è tanto la decadenza di una famiglia e di una casta sociale per l'affermarsi di nuovi ceti e di nuovi miti, quanto il fatale decadere degli uomini e delle cose di contro all'indifferente natura, si aggiunge il tema del sentimento dell'ininterrotto precipitare della vita verso la morte.
Nel 1961 vennero poi pubblicate le prose narrative e le memorie d'infanzia, stese anch’esse nell'ultimo periodo della sua vita col titolo Racconti, testi che riescono ad essere illuminanti circa l'intima genesi del suo mondo poetico. La Sicilia è più di un semplice sfondo per Il Gattopardo: è un personaggio a sé stante. Tomasi di Lampedusa descrive la sua terra con una tale vividezza che il lettore può quasi percepire il calore del sole siciliano e il profumo degli agrumeti. La sua rappresentazione della Sicilia è intrisa di amore, nostalgia e una profonda comprensione delle dinamiche storiche e sociali dell'isola.

Sicilia – Crocevia di cultura e storia

La Sicilia di Vittorini, così come quella di Tomasi di Lampedusa, è una terra di grande fascino e complessità. Entrambi gli autori catturano l'essenza dell'Isola, con le sue contraddizioni e le sue bellezze. Mentre Tomasi di Lampedusa guarda al passato con una certa nostalgia, Vittorini guarda al presente e al futuro con uno sguardo critico e speranzoso.
Nonostante le loro diverse prospettive e stili, Giuseppe Tomasi di Lampedusa ed Elio Vittorini condividono un profondo legame con la Sicilia. Le loro opere offrono uno sguardo complementare su un'isola che è stata, e continua ad essere, un crocevia di culture e storia. Attraverso i loro occhi, possiamo vedere la Sicilia come un microcosmo delle tensioni e delle trasformazioni che caratterizzano l'Italia e, in senso più ampio, il mondo.
La biblioteca si propone di celebrare questi due giganti della letteratura siciliana, offrendo ai lettori un viaggio attraverso le pagine dei loro capolavori, e permettendo così di immergersi nella ricca e complessa eredità culturale della Sicilia. Tomasi di Lampedusa e Vittorini ci ricordano che la letteratura non è solo una finestra sul passato, ma anche uno strumento potente per comprendere il presente e immaginare il futuro.

Per approfondire: gli amici della biblioteca, youtube

I suoi libri nelle biblioteche 

separatore-png-2.png

Elio Vittorini

Elio Vittorini, nato a Siracusa il 23 luglio 1908 e morto il 12 febbraio 1966, rappresenta un'altra voce fondamentale della letteratura siciliana del Novecento. Autore di romanzi come Conversazione in Sicilia, Vittorini è noto per il suo impegno politico e letterario, e per il suo ruolo nel promuovere la cultura italiana attraverso la traduzione e la critica. L’Autore all’inizio oscillante tra i toni di una memoria proustiana e quelli di un realismo spesso crudo, finì per elaborare una forma di racconto fra il reale e il simbolico, dove si avverte l'influsso dei narratori americani e dove una liricità quasi ermetica si accorda con il parlato proprio della rappresentazione oggettiva.
Vittorini iniziò la sua carriera letteraria come traduttore di opere anglo-americane, contribuendo a diffondere in Italia autori come Faulkner ed Hemingway; dopo la Liberazione, diresse a Milano la rivista Il Politecnico (1945-47), di tendenza comunista; poi, presso l'editore Einaudi, la collezione letteraria I gettoni che rivelò alcuni scrittori nuovi e assieme ad Italo Calvino si occupò dei quaderni di letteratura Il Menabò. Nei suoi primi romanzi come Piccola borghesia, Il garofano rosso, Nei Morlacchi - Viaggio in Sardegna, egli vacillò ancora, incerto, fra i toni proustiani e quelli realisticamente crudi e documentari; ma con Conversazione in Sicilia (1941), cominciò a trarre dal mondo dei ricordi mitiche figurazioni della vita dell'uomo e soprattutto del mondo offeso dal male e affannato alla libertà degli istinti. Cominciò, dunque, ad attuare una forma di racconto fra il reale e il simbolico, fra la memoria e la fantasia, fra l'intonazione umoresca e il clima tragico, dove si avverte l'influsso di quei narratori americani, da Faulkner a Saroyan, di cui egli fu assiduo traduttore. Dopo Uomini e no, romanzo ispirato alla Resistenza italiana, nel quale l'immediatezza del contenuto lo portava ad estreme crudezze verbali, ritrovò in parte quell’accordo nel racconto Il Sempione strizza l'occhio al Fréjus (1947), nel romanzo Le donne di Messina
Raccolse i suoi scritti critici, letterari e di costume in Diario in pubblico (1957) e vennero pubblicate postume diverse opere, tra cui la raccolta delle Opere narrative (a cura dello stesso) nel 1974 e l'epistolario: Gli anni del Politecnico. Lettere 1945-1951.
La sua opera più celebre, Conversazione in Sicilia, pubblicata a puntate nella rivista letteraria Letteratura tra il 1938 e il 1939, è un viaggio allegorico e filosofico che riflette le difficoltà e le contraddizioni del periodo fascista in Italia. Il romanzo è un’intensa riflessione sulla condizione umana e sulla resistenza individuale contro l'oppressione, ambientato anch'esso nella profonda Sicilia. Vittorini utilizza il viaggio del protagonista attraverso la sua terra natale come metafora per esplorare temi di identità, memoria e lotta.

Sicilia – Crocevia di cultura e storia

La Sicilia di Vittorini, così come quella di Tomasi di Lampedusa, è una terra di grande fascino e complessità. Entrambi gli autori catturano l'essenza dell'Isola, con le sue contraddizioni e le sue bellezze. Mentre Tomasi di Lampedusa guarda al passato con una certa nostalgia, Vittorini guarda al presente e al futuro con uno sguardo critico e speranzoso.
Nonostante le loro diverse prospettive e stili, Giuseppe Tomasi di Lampedusa ed Elio Vittorini condividono un profondo legame con la Sicilia. Le loro opere offrono uno sguardo complementare su un'isola che è stata, e continua ad essere, un crocevia di culture e storia. Attraverso i loro occhi, possiamo vedere la Sicilia come un microcosmo delle tensioni e delle trasformazioni che caratterizzano l'Italia e, in senso più ampio, il mondo.
La biblioteca si propone di celebrare questi due giganti della letteratura siciliana, offrendo ai lettori un viaggio attraverso le pagine dei loro capolavori, e permettendo così di immergersi nella ricca e complessa eredità culturale della Sicilia. Tomasi di Lampedusa e Vittorini ci ricordano che la letteratura non è solo una finestra sul passato, ma anche uno strumento potente per comprendere il presente e immaginare il futuro.

Per approfondire: lospiegone.com, youtube

Vittorini nelle biblioteche 

separatore-png-2.png

Fausta Cialente 

Fausta Cialente (Cagliari, 25 febbraio 1898 – Pangbourne, 12 marzo 1994) è stata una scrittrice, giornalista e traduttrice italiana. Considerata una delle principali figure del femminismo moderno in Italia, ha vinto il Premio Strega nel 1976 con il romanzo Le quattro ragazze Wieselberger. Dal 1921 al 1947 vive stabilmente in Egitto, dove negli anni Quaranta collabora alla propaganda antifascista e dove frequenta la società mondana internazionale descritta con grande abilità in alcuni suoi romanzi. Ballata levantina (1966), Un inverno freddissimo (1966), Il vento sulla sabbia (1972) sono stati recentemente ripubblicati da Nottetempo.

Per approfondire: festivaletteraturaillibraio

ballata_levantina.jpginverno_freddissimo.jpgvento_sulla_sabbia.jpg

 suoi libri nelle biblioteche 

Torna in alto

separatore-png-2.png

Remigio Zena

«Nessuno capì così bene i poveri, i diseredati, come Remigio Zena; nessuno li lasciò ragionare con tanta indulgenza, con tanta pietà superiore e nascostamente sorridente». Eugenio Montale

bocca_del_lupo.jpg

Remigio Zena (Torino, 23 gennaio 1850 – Genova, 8 settembre 1917), è stato uno scrittore e poeta italiano. Zena può essere annoverato tra i capisaldi della letteratura verista, sebbene oggi sia poco noto al grande pubblico. La bocca del lupo, pubblicato nel 1892 dall'editore Treves, definito come il suo primo romanzo, rappresenta la rovina morale e materiale di tante donne del popolo. Dal punto di vista letterario viene avvicinato ai modelli veristici di Verga. Scritto in italiano, ma con un notevole apporto a termini del dialetto ligure, il romanzo corale racconta la vita al limite della sopravvivenza di persone umili e disperate, ora pronte ad aiutarsi e domani a “sbranarsi” per un pezzo di pane. Lo stile si rifà ai canoni espressivi de i Promessi sposi del Manzoni e de I Malavoglia del Verga, di cui Zena fu coevo. Notevole la capacità dello scrittore di raccontare l'ambiente genovese, attraverso l'uso efficace della prosa. La storia supera i confini del verismo, grazie alla straordinaria capacità stilistica e poetica dello Zena.
La bocca del lupo è una storia di donne vinte ed emarginate, represse da una sorte ingrata e frustrate da ambizioni che non potranno mai essere soddisfatte senza incappare nel rischio di finire, appunto, “nella bocca del lupo”. Zena ambienta la novella fra le case e i vicoli ombrosi genovesi, i caruggi che circondano un'ipotetica piazzetta, “la Pece Greca”. La vicenda gravita attorno alla figura femminile di Francisca Carbone, detta “Bricicca”, una vedova che nella sua vita piena di avversità, “in casa sono più i giorni in cui si salta il pasto che quelli in cui si mangia”, vede aggiungersi la morte improvvisa dell'unico figlio maschio a causa della tubercolosi. La storia di articola intorno al destino delle sorelle, le tre figlie femmine di Francisca Carbone. L'opera comincia dal tempo che precede l’entrata della Bricicca nel carcere di Sant'Andrea, da dove per grazia del re uscirà anzitempo. L'autore, in seguito, svelerà attraverso l'epilogo l'incalzare del destino che si presenterà negli anni successivi alla sua scarcerazione. 
Remigio Zena, malato agli occhi, trascorse gli ultimi anni della sua vita appartato e lontano dalla società letteraria. Morì nel 1917 a Genova.
La bocca del lupo è stato di recente ripubblicato da Minimum Fax nella collana Introvabili.
 

 

I suoi libri nelle biblioteche 

Torna in alto

separatore-png-2.png

Sandro De Feo

Sandro De Feo (Modugno, 18 novembre 1905 – Roma, 2 agosto 1968) è stato uno scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano.
Gli inginganni_de_feo.jpganni, esordio narrativo dell’autore, è stato pubblicato nel 1962 e viene ora riproposto da Cliquot. È un’opera invecchiata benissimo, che ancora oggi ci parla di illusioni perdute e mancate occasioni. Una giornata di scirocco a Roma può confondere la memoria e la percezione del presente, come scopre Antonio, intellettuale di mezza età che dalla Puglia è partito in gioventù e ora vive nella capitale e scrive per il cinema. Proprio in quel giorno di vento, Antonio viene svegliato da Vituccio, amico d'infanzia che porta con sé l'ingombrante bagaglio della provincia. La confusione causata dal vento pazzo trascina i due amici in incontri con prelati, tra gli splendidi resti di Villa d'Este, e li accompagna a sera nella sfavillante via Veneto che già presagisce le crepe della sua decadenza. Qui il romanzo si immerge nella Roma de La dolce vita in cui convivono genialità e superficialità, libertà di costumi e rigore morale. Ambientatosi lentamente in questa Roma millenaria e decadente, Antonio affronta la città e l’esperienza di vita dentro ad essa come fosse uno spettatore comodamente seduto in platea. Cerca di interpretare i segnali ambigui dell’Urbe come un uomo del Sud che non è riuscito ancora del tutto a emanciparsi dai propri fantasmi, dai propri retaggi e, in definitiva, da una nostalgia per la giovinezza trascorsa spensieratamente nella provincia al Sud tra le campagne e i poderi. Lo scirocco che imperversa fastidiosamente sulla Roma di Antonio, nelle circa ventiquattro ore in cui si svolge il romanzo, si rivela come una presenza talmente incisiva da poter essere considerato a pieno titolo come personaggio centrale dell’opera. La condizione di otium che caratterizza il procedere lento di fatti, pensieri e immaginazioni, induce nel protagonista un atteggiamento introspettivo, che riporta memorie e ricordi che rafforzano la già dura membrana che lo separa da un contatto diretto con il reale circostante.

Torna in alto

separatore-png-2.png