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Vincitore

 

Gianni Biondillo

 

Quello che noi non siamo, Gianni Biondilloavere_tutto.jpg

Ci fu una generazione di architetti che credette nel fascismo perché si illudeva fosse una rivoluzione, come quella artistica che propugnavano: il razionalismo. Combatterono una guerra ad armi impari contro l'accademismo, centralista e romano, senza rendersi conto che mentre Mussolini li ammansiva, li lodava, in realtà sosteneva un'architettura retorica ben più consona alle sue megalomanie. Milano fu la fucina di queste tensioni artistiche che guardavano all'Europa come a una liberazione dall'asfissiante passatismo provinciale del resto della nazione. Venivano da tutta Italia: irredentisti istriani come Pagano, maestri comacini come Terragni, napoletani inquieti come Persico. E poi tutti gli altri, figli del Politecnico: Figini, Pollini, Bottoni, Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers... Nelle trattorie, nei salotti, alle vernici, incrociavano poeti, galleristi, critici, artisti, e di anno in anno l'adesione al regime si faceva sempre più labile, sempre più critica. Ci pensò la Storia a fare il resto: dalle leggi razziali alla disfatta di Russia, fino al cataclisma dell'8 settembre 1943. Gianni Biondillo racconta, in un romanzo corale, la storia di uomini e donne che presero coscienza del crollo delle false ideologie e che decisero di schierarsi nel nome della Resistenza e della libertà, spesso pagandone le conseguenze: carcerazioni, torture, campi di concentramento. Il ritratto profondo di un'epoca, che ci somiglia più di quanto vogliamo ammettere.

Gli altri libri di Marco Missiroli in GalileoDiscovery e in MLOL

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Edizione opera prima

Vince

Giulia Scomazzon

La paura ferisce come un coltello arrugginito, Giulia Scomazzonstupidi_intenti.jpg

In questo memoir lucido e intenso, Giulia Scomazzon vuole superare la paura per cercare la verità sulla madre Roberta, morta giovanissima nel 1994. Giulia allora aveva sette anni, e per lungo tempo le venne nascosta la causa del decesso di Roberta. Perché la società condannava con la vergogna e lo stigma: Roberta era infatti morta di AIDS, aveva contratto la malattia nel periodo limitato in cui aveva fatto uso di droga. Ancora oggi viene negata una memoria dignitosa e compassionevole a migliaia di persone che furono, spesso solo per un periodo della loro vita, "tossicodipendenti" e morirono di quella malattia all'epoca incurabile. La figlia Giulia, con coraggio ostinato, lavora sulla memoria individuale e collettiva per ricostruire un'immagine vera e completa della madre, la Roberta affettuosa e gentile che lavorava in fabbrica e preparava torte, la Roberta che si ammalava sempre di più. Nel farlo interroga il padre, Andrea, che per molti anni ha cercato a suo modo di proteggerla, di tenerla distante da un passato doloroso.

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